GIANNI DE TORA |
CARTELLE /mostre collettive |
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1988 ''Carte'' – Galleria A Come Arte, Napoli 8-28 marzo |
ARTICOLO DI MARIO FORGIONE SUL QUOTIDIANO ''NAPOLI OGGI'' DEL 10 MARZO 1988 |
A come Arte : ''Carte'' Tenere e beffarde orgogliose e ignare «Dolci, tenere, beffarde, splendide carte, così orgogliose e ignare di essere precarie!». Così chiude Michele Sovente la sua presentazione della mostra che si intitola appunto «Carte» e che verrà inaugurata 1'8 marzo prossimo negli spazi della galleria «A come Arte» di vico Ischitella alla Riviera di Chiaia. Che carte? Titolo facile e complesso, perché parliamo di un foglio sottile ottenuto, dicono gli esperti, dalla lavorazione di fibre vegetali contenenti cellulosa, usato come materiale per scrivere, stampare, imballare, incartare e anche «disegnare». Ecco, il gioco è fatto. Le «Carte» sono il materiale su cui Renato Barisani, Andrea Bizanzio, Gianni De Tora, Pasquale Forgione e Domenico Spinosa hanno operato per realizzare immagini, trascrivere sogni, tracciare comete. Com'è facile dirlo, spiegarlo. Ma le carte nascondono segreti, possono essere false, possono essere mischiate, possono sbucare da polsini inamidati ed essere sbattute e gualcite su tavolacci di taverne. Le carte, insomma, possono essere lo strumento di un gioco mortale. Infide, malefiche carte che conservano nel loro cuore diaboliche dame di picche. Non c'è da fidarsi. Ecco la com- plessità di un titolo facile. Stiamo attenti. La loro fragilità è una metafora della vita che vola via come una cartaccia trascinata dal vento in una sera d'inverno. La mostra a «A come Arte» va vista anche in questa angolatura, in questo anfratto, in questo nascondiglio dove l'artista ripone i suoi scheletri. Questa è una lettura, forse iperreale, delle opere che saranno esposte al pubblico nella quieta sala di vico Ischitella. C'è un altro modo di vedere, vincendo l'attrazione della materia, superando l'impatto col foglio sottile, rinunciando all'interrogativo: perché le carte? Saltano fuori così gli artisti «con le loro storie ben definite»: il gesto di Spinosa, la costruzione di Barisani, la luminosità di Bizanzio, lo stupore geometrico di De Tora, il ritmo teso e vigilato di Forgione. «Su queste carte», scrive Sovente, «sta depositata la felicità di ipotesi, intuizioni, di segnali improvvisi che, magari, per chissà quali misteriose ragioni, non potranno tradursi in risultati del tutto espliciti e compiuti». Ecco un punto di riflessione: la precarietà del mezzo non consente di imporsi ma solo di suggerire, di sussurrare. Un limite? Nient'affatto. L'arte è ambigua perché conosce la sua storia fatta di dimenticanze e mortificazioni, di errori ed omissioni. E allora può talvolta mettere le mani avanti, denuncierei limiti della sua immortalità: limiti esterni, imposti da fuori, guidati dagli déi dell'oblio dei sentimenti e delle memorie, dai governatori dell'incapacità di vivere, dagli eredi dell'impotenza creativa che vivono come parassiti sulle spalle dell'artista, per debilitarlo, per annientarlo. Ecco, a costoro, buttiamogli le carte in faccia. |
TESTO DI MICHELE SOVENTE SUL PIEGHEVOLE DELLA MOSTRA |
Carte Non c'è artista che, in vita sua, non si sia almeno una volta fatto tentare, sedurre dalla carta, dalle sue insospettate possibilità espressive, dal suo discreto fascino. Tracciare segni, inseguire forme, sgranare e fissare linee, carezzare la liscia o ruvida facciata bianca oppure grigia, scura, colorata, ricorrere al ''collage", usare matita e tubetto: questi ed altri ancora sono i segreti che la carta svela ed offre a chi vi affida il suo estro creativo. Essa, proprio perché ama essere trattata con semplicità, senza superflue tattiche compositioe, invita a far affiorare l'idea, il tratto, l'immagine nella loro immediatezza e pregnanza emotiva e formale. Quello che consente di fare un quadrato, un rettangolo, un lenzuolo di carta è d'incalcolabile portata: a patto che ci si dia senza riserve al rischio e all' avventura. ''Carte", appunto, si intitola questa mostra, per indicare in maniera diretta l'oggetto intorno al quale nasce, si forma, si accende il processo creativo. Oggetto non solo e non tanto come materia, ma anche e particolarmente come fonte di stimoli e di suggestioni. A misurarsi con questo mezzo ricco di sorprese, dall'aspetto rassicurante ma, via via impiegandolo, estremamente responsabilizzante e coinvolgente, sono cinque pittori con una loro storia ben definita: Renato Barisani, Andrea Bizanzio, Gianni De Tora, Pasquale Forgione, Domenico Spinosa. La prima riflessione che s'impone all'osservatore nel guardare questo complesso di opere concerne il tipo di fenomenologia creativa che ne scaturisce. In ciascuna di queste opere si avverte il deciso, prorom- pente farsi avanti di un tracciato, di un nucleo visivo, di un' atmosfera con un senso dello spazio, per così dire, frontale, essenziale, dinamico. Sono queste le condizioni migliori perché il gesto di Spinosa tocchi l'apice della sua forza; perché la costruzione di Barisani manifesti il suo interno divenire; perché Bizanzio imprima al colore luminosità e vigore; perché lo stupore geometrico di De Tora invada lo spazio; perché la sapiente distribuzione di linee, forme e colori di Forgione dia vita a un ritmo teso e vigilato. E c'è dell'altro. C'è la festosa, zampillante eleganza di queste campiture sinteticamente disegnate da Spinosa, in cui respira una luce che fonde acqua e cielo. C'è la minuziosa, febbrile attenzione di Barisani al dettaglio, al margine di carta, alla sua compattezza come di una realtà scultorea che si staglia con lucidità. C'è il prezioso cromatismo di Bizanzio, che agglutina intorno a un ''nucleo'' figurale una viva corrente di tracce e segni. C'è la mano ferma di De Tora che, mentre definisce razionalmente la superficie, si abbandona a un colore dalle calde, vibranti tonalità. C'è il paziente fare esplorativo di Forgione che si addentra in un fitto intreccio di cavità, di ''forme vaganti" saggiando elasticità e rigore. Su queste carte sta depositata la felicità di ipotesi, intuizioni, di segnali improvvisi che, magari, per chissà quali misteriose ragioni, non potranno tradursi in risultati del tutto espliciti e compiuti. Eppure, guardandole più a fondo, con intensità e puntiglio, ci si rende conto del notevole grado di libertà e di spregiudicatezza formale che esse contengono. Vi si sente il desiderio di andare oltre, di cogliere al volo un barbaglio, di provare quel particolare impasto o timbro, quell'audace ''taglio" spaziale, di ''giocare" con il caso senza stare a farsi troppi problemi. Dolci, tenere, beffarde, splendide carte, così orgogliose e ignare di essere |
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il pieghevole della mostra /SCARICA IL PDF |
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